La Classe A di Mercedes nacque sotto il disgraziato segno dell’alce; il marchio di Stoccarda fu costretto a esibirsi in capriole pubblicitarie per comprovare le nuove scelte tecniche e il conseguente miglioramento della tenuta di strada.
Per dimostrare la facilità di guida, il genio pubblicitario affidò i nuovi messaggi a chi aveva, nello stereotipo dell’epoca, meno abilità al volante: le donne!
Si diffuse l’idea che l’auto fosse adatta solo a signore imbranate e Mercedes dovette combattere, poi, lo scetticismo del genere maschile…ma il costruttore tedesco si era già trasformato in competitor generalista: i suoi modelli d’ingresso potevano elegantemente districarsi nel traffico cittadino o servire ai giovani manager rampanti per raggiungere il campo da golf. Le chiavi delle vetture blasonate passavano dalle mani di padri soddisfatti a quelle di figli…fortunati, come simbolo di un orgoglioso cambio generazionale.
Qualche cavallo in più nel motore e una manciata di teutonica elettronica, cancellarono l’idea che l’auto lussuosa fosse solo per panciuti commenda.
Ultimamente, a dimostrazione della percezione che i pubblicitari hanno del genere umano, in quasi tutte le pubblicità automobilistiche vediamo una donna al volante e, quando il passeggero è un uomo, quest’ultimo, sembra sorridere felice d’aver passato il “timone”…se il compagno di viaggio è anche coniuge lo si fa passare un po’ per scemotto, a favore della superiorità femminile.
Sono scesi in campo, o meglio sono saliti a bordo, anche teneri bimbi, ragazzini, giovanotti innamorati e, non potevano mancare, gli amici a quattro zampe.
Gli psico-pubblicitari hanno attenzione anche verso l’integrazione razziale: se, cinquant’anni fa, nessun concessionario Mercedes, negli USA, si sarebbe compiaciuto di vendere un’auto stellata ad un afro-americano, oggi, una folla multirazziale popola gli annunci di ogni brand automobilistico.
Gli spot, come loro natura, devono martellare lo spettatore senza tralasciare ogni possibile emozione, così i moderni caroselli sono diventati una passerella di auto “verdi” che sembrano aver perso l’abitudine di “bere”; abbiamo vetture intelligenti, auto per missioni impossibili o per le missioni al supermercato: tutte auto che ci porteranno lontano…se dotate di una chilometrica prolunga ombelicale collegata con una colonnina elettrica!!!!
La pubblicità, nel giro di pochi anni, si è adattata alle conquiste e tendenze che si sono affermate nella società, diventandone, in un certo senso, lo specchio: l’uguaglianza dei sessi, delle razze e la salvaguardia del Pianeta, ecc.
La cruda verità, dietro ai fantasiosi spot e le allettanti offerte di tutti i costruttori, ci racconta di un crollo delle vendite nel settore auto in tutta Europa, tale da non rendere sufficienti i vari aiuti Statali.
Il mondo dell’auto, forse per la paura della saturazione dei mercati tradizionali e la fretta di aggiungere nuove percentuali di vendita, ha sposato il peggio delle teorie della globalizzazione…facendo del male anche a se stesso.
Nel nostro paese non è solo crisi delle vendite dell’auto ma è crisi economica generale.
In Italia è venuto meno il primato tecnologico nel settore auto (se non per alcune eccellenze di piccole realtà) e, soprattutto, è venuto meno nelle maestranze, l’orgoglio d’essere parte del sistema produttivo di un marchio e del sistema Paese.
La delocalizzazione, l’abuso della cassa integrazione e i licenziamenti facili, il lavoro precario o interinale sono stati usati in modo così spregiudicato da minare i diritti costituzionali e i sogni di molti, nonché la soddisfazione dei bisogni per alcuni.
Non dimentichiamo che il successo della vecchia 500 fu decretato dalla capacità d’acquisto conquistata, dalle maestranze stesse, con la certezza del lavoro, la voglia di mobilità… percepita come libertà, della gente e del Paese. Si poteva firmare qualche cambiale al pensiero che il futuro sarebbe stato migliore.
Le idee di car sharing o dell’affitto dell’auto, possono ovviare a una momentanea crisi di mercato, sullo stimolo di un apparente cambiamento sociale di alcune fasce della popolazione, in realtà sono iniziative che spengono il “desiderio”, la distinzione nel possesso, l’idea di viaggiare nel proprio guscio…e la voglia di “farsi l’auto”.
L’assurda criminalizzazione del motore a combustione interna, oltre a decretare definitivamente la fine della supremazia tecnologica europea, espone le case automobilistiche a massicci investimenti in un settore che trova il suo successo solo nelle politiche Europee e negli aiuti di Stato: la rete per la ricarica delle batterie è a maglie ancore troppo larghe e le stazioni di servizio, per i tempi necessari al rifornimento, assomigliano più a sabbie mobili che alla piazzuola per il pit stop…senza contare che, tranne per costosissime e tecnologiche vetture, l’auto elettrica è ancora percepita come vettura scappata da un Luna Park.
I pubblicitari cercano di scavare nelle passioni e nelle aspirazioni dei potenziali clienti, ma l’impoverimento del portafoglio come la mancanza di fiducia nelle politiche comunitarie e, forse, nel futuro stesso del Paese, non possono essere scavalcate, nella mente dei potenziali acquirenti, dagli allegri inviti all’acquisto.
Il futuro prossimo si sta mostrando già peggiore del passato appena vissuto, speriamo non peggiore del passato remoto…o sarà un disastro, questo si senza distinzione di sesso o di razza e, ovviamente, senza rispetto per il Pianeta.
Che cosa inventeranno i pubblicitari per rappresentare lo specchio dei tempi?
Romano Pisciotti