LE STORIE DEL COMPASSO


Il compasso nautico, quello che usano i naviganti per leggere, sulla carta nautica, la latitudine e la longitudine, è a doppia punta; per non bucarsi una mano sul tavolo di carteggio, ogni compasso ha il suo cappuccio. Forse, con le moderne carte elettroniche, compasso e squadretta sono cadute in disuso, tanto quanto il Capitano Marittimo, il Comandante, sostituiti dal “perito nautico”…già, il “capitano”…sembra esistere solo nei vecchi romanzi d’avventura e nelle desuete storie di Star Trek.  Il Capitano Kirk non legge più nessun tipo di carte, sostituite da uno schermo televisivo gigante che, come per magia, mostra pianeti e stelle….peccato che lo schermo della Costa Concordia non abbia mostrato un piccolo scoglio che ogni navigante conosce, o conosceva.

Sestante e strumenti per il carteggio sono andati in pensione e il “carteggio”, come cita la polverosa enciclopedia Treccani: “l’insieme delle operazioni che si compiono a bordo sulle carte nautiche”…è diventato un esercizio per amanti del classico. I più potrebbero confondersi con il “carteggiare”, operazione che l’imbianchino esegue prima di tinteggiare…sono spariti i capitani, ma ancora resistono gli imbianchini!

I vecchi buoni marittimi ricordano quello strano compasso a due punte.

Nel secolo scorso, ad attraversare il Mar Grande non erano solo gli eleganti transatlantici: petroliere e carrette hanno avvicinato i continenti ancor prima che si parlasse di globalizzazione.

In quella storia di uomini e di mare, l’umile compasso, per l’appunto, ebbe la sua gloria!

Gli armatori liguri, fauna oggi scomparsa, erano in competizioni con greci, napoletani e levantini nel riempire le stive d’ogni merce per ogni porto.

I vascelli liguri si distinguevano, dicevano i vecchi, per non essere mai seguiti dai gabbiani: non buttando nulla, non c’era cibo per gli affamati volatili, che disertavano la scia.  

I Ravano (all’epoca noti armatori) riconosciuti come taccagni (non senza merito)…forse solo buoni risparmiatori, armavano una poderosa flotta, sotto più bandiere…anche un po’ di tasse andavano risparmiate!

Taccagni o meno, fecero, con altri armatori, la fortuna loro e, con molta più moderazione, quella di molti marittimi. Sicuramente, mossero un’economia diretta e indotta, buona per Genova e l’intero Paese che cresceva.

L’economia, a bordo, non si studiava…la si faceva! Anche il compasso, anzi il suo cappuccio, aveva una doppia funzione. Quando la matita, con cui si tracciava la rotta, era troppo consumata e non stava più tra le dita, s’infilava nel cappuccio del compasso…prolungandone la vita,“armando” il mozzicone! A bordo non si piantavano alberi, eppure si salvavano le foreste.

Le parsimoniose società di navigazione non sapevano d’essere le prime società green: già c’era la filosofia dell’uso e riuso.

Poi venne l’abbondanza e, stranamente, si è portata via i vecchi bastimenti e i marinai dalla pelle cotta dal sole. Oggi, le moderne porta container, le super petroliere e i palazzi da crociera solcano i mari, ma senza più poesia né buffi aneddoti. Le navi sono cresciute in dimensioni e gli stipendi a bordo, ma non solo, si sono ridotti, per mantenere il

Paese competitivo.

I gabbiani si sono rifugiati a terra, nelle discariche, in mare sono rimasti i marittimi con il mutuo da pagare e senza più passione.

Liberi di commentare: “si stava meglio quando si stava peggio!”

Romano Pisciotti 

5 commenti su “LE STORIE DEL COMPASSO”

  1. Mi sono preso un po’ di tempo , dopo aver letto il tuo scritto e quello che scrivo ora è frutto di una scrittura fatta su un foglio . Come vedi sono semi analogico . Non rifiuto la modernità anzi ben venga ma spesso andare per spid…numeri verdi ..e quant’altro anche no grazie. Differente è il progresso nella sua interezza. Mi è capitato di visitare musei navali e vedere oggetti nautici usati per la navigazione , astrusi , che ancora adesso non capisco come fossero usati , ma servivano ed erano importantissimi per navigare . Quante navi si sono perse non è dato sapere , ma diverse sono arrivate dove pensavano di arrivare , molte altre hanno avuto fortuna . Credi che non sarebbero stati felici di avere strumenti più efficaci per determinare la rotta ? Quella era avventura vera e propria . Tu ed io siamo di un’altra generazione . Per me aspettare il crepuscolo , mattutino o serale , quando si navigava in Oceano ( atlantico – pacifico – indiano ) per osservare le stelle con il sestante e calcolare il punto nave , era come celebrare un rito antico di cui andavo orgoglioso . Oggi questo non esiste più , ma il mondo va avanti .
    Una volta sono stato invitato ad una inaugurazione di un piccolo museo del mare , nella mia città, da parte dell’associazione Amici del mare. Come Corpo piloti del porto di Ancona avevo donato un nautofono a mano , in ottone ,molto bello che faceva parte dell’arredo della nostra stazione piloti . Ho chiesto a mio figlio, Alfredo sedicenne , se voleva accompagnarmi e lo ha fatto con entusiasmo . Siamo andati e il suono del in TVnautofono ha segnato l’inaugurazione del museo . Tutte le persone che ho incontrato al museo mi chiamavano comandante . Mio figlio è rimasto molto colpito da questa cosa . Pur sapendo del mio lavoro , forse non aveva ben capito il mio ruolo
    . Tutt’oggi in privato mi chiama comandante .

  2. Di primo acchito, si: stavamo meglio quando stavamo peggio.
    Poi però arrivano i dubbi e non si è più così sicuri. Quindi concludo con una domanda: come staremo oggi se fossimo rimasti a quel “peggio” riconoscendolo come il “meglio”?
    Io sono per guardare al futuro con un fondamento al passato e soprattutto non accontentiamoci mai del presente perché c’è sempre spazio per migliorare in tutti i campi e sotto tutti i punti di vista.

    1. Purtroppo non riesco a condividere la tua positività, comunque il “si stava meglio quando si stava peggio” era riferito alla gente di mare

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