La censura delle opinioni sui social

VITTORIO SGARBI:

Trovo inaccettabile che Twitter debba censurare il Presidente americano uscente Donald Trump. Non può essere il “mezzo” a stabilire cosa sia lecito o meno pubblicare; la veridicità o meno di una affermazione va affidata alla stampa, ai tecnici, all’opinione pubblica, al libero convincimento dei cittadini. Ma se Twitter, come fa, impedisce a Trump (o a qualsiasi altro cittadino) di esprimere, unilateralmente, una opinione o una considerazione, esercita una forma di censura preventiva inaccettabile in una una democrazia. E poi, sulla base di quale criterio? Quello della proprietà del mezzo?
Questo accade anche con altre popolari piattaforme di condivisione (non uso inglesismi!) come Facebook e YouTube, per esempio con le questioni che riguardano la pandemia: è diventato impossibile esprimere una opinione su questo tema senza subire il blocco del proprio profilo o gli “avvertimenti” relativi alla minaccia di chiusura. O accetti la “narrazione” delle autorità sanitarie (dunque dando per scontato che quello che fanno i governi sia sempre giusto) oppure devi tacere. E, nella migliore delle ipotesi, essere ascritto alla categoria dei “negazionisti”, espediente quest’ultimo ormai utilizzato come una clava nei confronti di chi critica le restrizioni imposte dai governi.
Possono, queste piattaforme, che peraltro operano non per fini sociali ma per generare profitti milionari, esercitare un così vasto e incontrollato potere di veto e, di conseguenza, determinare le regole del dibattito politico e culturale di una società?
Romano Pisciotti: like