In tempi recentissimi, una sola nave, bloccando accidentalmente il Canale di Suez, ha evidenziato la fragilità di un sistema globalizzato.
Abbiamo pensato solo a un inciampo per l’economia, sopportabile come i danni collaterali che si producevano, abbiamo pensato che quel “blocco” fosse solo la sfortunata coincidenza di avverse condizioni, come un piovasco fuori stagione, e non abbiamo colto l’allarme sulla fragilità e pericolosità del sistema.
Ci siamo fatti poche domande pur “scoprendo” che il fasullo Made in Italy aveva bisogno di liste infinite di componenti cinesi.
Oggi “scopriamo” che mezzo mondo dipende dall’altra metà, non solo per le forniture di gas e petrolio, bensì per sfamarsi: grano, frumento, mais e altre granaglie viaggiano esattamente come il petrolio e il gas…dunque di che globalizzazione stiamo parlando? Questa è dipendenza!
Abbiamo spostato una larga parte della produzione manifatturiera anche in paesi che, esattamente come noi, dipendono dall’approvvigionamento vitale di materie prime, sia per sfornare acciaio che pane…aggiungendo dipendenze alle dipendenze!
L’Italia è riuscita a far anche di meglio: da sempre dipendiamo dall’estero per gli approvvigionamenti petroliferi, abbiamo pensato di aumentare, negli ultimi decenni, anche le importazioni agricole; abbiamo diminuito le nostre produzioni seguendo politiche europee, o di mercato, che hanno decretato la riduzione delle nostre aree agricole…ovviamente anche con perdita di posti di lavoro. Gli addetti legati alla produzione dello zucchero, solo per citare un esempio, sono passati in pochi anni da 7 mila a 1.200 con una perdita di produzione nazionale da 1,4 milioni di tonnellate di zucchero a 500mila…a voi il conto di quanti posti di lavoro si sono persi nell’intero settore agricolo per politiche scellerate.
Potremmo pensare che lo squilibrio nel settore primario agricolo sia stato compensato dalle famose “bollicine”, che hanno sostenuto l’export…magari con aiuti statali a storici produttori o aiuti alle psichedeliche nuove cantine, pagate sempre da Pantalone e disegnate da famosi architetti. Potremmo anche dire che il grano lo consumiamo da sempre a casa nostra per soddisfare un bisogno primario, mentre le bollicine sono soggette a dazi e mode, non sempre secondo le nostre desiderate.
Ci siamo convinti che la migrazione all’estero di produzioni industriali, e la rinuncia a produzioni agricole, potessero essere compensate dalle nicchie d’eccellenza: per salvare la Patria abbiamo riscoperto i “grani antichi” da boutique e le asine da latte, mentre importavamo grano cresciuto con fertilizzanti proibiti, per una buona pasta al dente, e tonnellate di latte per fare la “nostra” famosa mozzarella.
Ci siamo fatti anche del male rinunciando, o limitando, quelle poche fonti energetiche nazionali di cui avremmo potuto disporre: un pò di metano e tanta potenza idroelettrica.
Oggi, dopo anni di discussioni su ILVA, corriamo a sostenere la produzione elettrica, e industriale in genere, con il carbone… come se noi avessimo capaci miniere e dimenticando che nero più nero non fa energia pulita.
Siamo al tavolo di un pericoloso gioco, i dadi lanciati ci hanno portato alla casella della prigione: rischiamo il blocco del Paese.
Ci rallegriamo per la generosa offerta americana di gas liquido, per liberarci dai gasdotti russi, peccato che sempre dipendenza sia! Il prezzo non scenderà e si dilateranno i tempi di approvvigionamento; aumenteranno gli investimenti per nuovi impianti per la rigassificazione e, soprattutto, aumenteranno i noli per le poche navi gasiere esistenti, anzi, dovremo costruirne delle altre…insomma, dalla padella alla brace! Si dovranno rivedere i piani, già incerti, del PNRR.
Chilometro zero o autarchia non potranno certo ovviare alla naturale distribuzione delle risorse e, per un Paese che vive di trasformazione, l’apertura dei mercati non è un optional, però si dovrebbero riequilibrare gli scambi commerciali esteri e la tipologia delle fonti energetiche interne.
Le gigantesche porta container, che assicurano noli bassi per il trasporto delle merci, molto spesso scaricano costi sulla collettività: contributi o finanziamenti agli armatori, ai cantieri navali e massicci investimenti per l’adeguamento delle strutture portuali. I conti dovremmo imparare a farli tutti!
Se vogliamo un mondo sostenibile, devono essere sostenibili sia le produzioni sia il commercio.
Valutare meglio, almeno con il buon senso, le teorie dello just in time e dell’outsourcing non significa gettare mezzo secolo di scuola di marketing, ma solo che dovremmo imparare a ragionare in termini di sistema Italia, evidenziando anche i costi indiretti scaricati sulla collettività.
In Italia abbiamo 200.000 ettari di terreni mal coltivati o abbandonati.
Dovremmo fare un po’ più di squadra senza spremere indiscriminatamente i fornitori, compresi gli agricoltori che forniscono beni primari.
Tutto il tessuto commerciale andrebbe difeso perché la globalizzazione sta cambiando anche il sistema distributivo, monopolizzando nelle mani di gruppi multinazionali che, oltre a creare lavoro precario, ci costringeranno,domani, ad acquistare solo ciò che sarà presente nei loro listini online e più conveniente per loro.
Rischiamo che una comodità di consegna si trasformi nel più grande monopolio e in una concentrazione pericolosa di fatturato.
Oggi discutiamo tanto sulla dipendenza dal gas Russo…è vero che la Russia potrebbe chiudere i rubinetti dei gasdotti, ma questo fornitore ha un bisogno vitale di esportare il suo gas, tanto è vero che, pur in guerra, non si sono fermate le forniture…ancora sperando che i nostri brillanti politici non vogliano arrivare al suicidio totale, rinunciando al gas dei russi o, in qualche modo, costringendoli alla chiusura delle valvole.
Le necessità del fornitore e dell’utilizzatore possono garantire uno scambio equo, come in natura la simbiosi, tanto più che, nel caso russo, il fornitore non ha il completo monopolio della fornitura: nel 2021 l’Italia ha importato dalla Russia il 38% del gas che consuma; nel 2012 la percentuale era attorno al 30% e nel 2015 era il 44%….non vedo tutta questa paura per le forniture da quel Paese.
La tubazione attraversa e alimenta l’Ucraina, ma nessuno dei due Paesi ha violato l’integrità del gasdotto.
L’Europa ci sta convincendo di quanto sia opportuno l’arrivo del gas dagli USA, paese che ha minor disponibilità per l’esportazione, pur essendo il primo produttore e, soprattutto, non ha la stessa necessità vitale di esportarlo…dunque andremo a peggiorare l’equilibrio in fatto di controllo commerciale, oltre che ad esporci a maggiori costi.
Come già detto, la filiera per la consegna del gas americano va totalmente costruita, anche negli States, che non hanno sufficienti impianti per la liquefazione e l’imbarco del gas per reggere le consegne promesse nel prossimo futuro.
Dobbiamo chiudere (o svendere) altre industrie?…Dovremo creare altri mostri monopolistici? Aspetteremo il prossimo blocco di Suez? Accontenteremo ancora le lobby internazionali, prima di rinsavire dalla follia di politiche a noi sfavorevoli?
A noi (non ai posteri) l’ardua sentenza.
Romano Pisciotti
Queste sono le tipiche analisi che la gente al giorno d’oggi NON PUO’ fare pubblicamente senza venire attaccata, infangata, calunniata. (Non ti fanno parlare, oppure, più spesso, ti fanno parlare, e poi suggeriscono e insinuano che sei “Non competente in materia”, o “Troll di Putin”, “Pagato da Mosca”, e altre amenità del genere…).
Purtroppo per i propagandisti da salotto televisivo, però, quelli da lei elencati sono FATTI CONCRETI.
Spero vivamente che arrivati a questo punto, qualcuno cominci a capire la pervasività del pensiero unico mediatico, che taglia e cuce la “realtà” davanti agli occhi del cittadino votante (e pagante…)
Ma non mi faccio illusioni. Questo mio commento, il Suo articolo, e molte altre analisi di questo tipo restano sconosciute ai più, mentre RAI, Corriere della Sera, Stampa, Repubblica, e compagnia, pompano a pieno regime la narrazione dominante, secondo cui il governo italiano è composto da eroi, “i più forti siamo noi” e “per fortuna gli americani ci hanno salvato ancora vendendoci (al doppio del prezzo) i loro prodotti”.
Dunque compreremo tutto dagli americani, spenderemo DI PIU’ per un prodotto di qualità INFERIORE e globalmente più inquinante (shale gas da fracking), costruiremo una nuova filiera A NOSTRE SPESE e faremo arrugginire le filiere già esistenti (eurasiatiche), e tutto questo lo faremo CON GIOIA, perchè la TV ha detto che i russi sono tutti brutti e cattivi.
Già, invece gli americani non hanno Mai bombardato civili (Iraq, Afghanistan e Siria erano dei film…) e Arabia Saudita, Qatar e Emirati sono …paradisi dei diritti umani…
George Orwell dovrebbe essere lettura obbligatoria.
Per quel che può servire.
Grazie per l’attenzione al mio articolo e per il suo bel commento