“Porto vicino” non è scritto da nessuna parte. “Porto sicuro” è definito solo per ciò che non è.
Il porto sicuro
Che cos’è un “porto sicuro” o “luogo sicuro” (nelle convezioni internazionali Pos, “place of safety”)?
“A chiare lettere non c’è scritto da nessuna parte – risponde Matteo Villa, analista dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), esperto di migrazioni –. L’unico modo in cui si può provare a ricavarne una descrizione sono le linee guida dell’Organizzazione internazionale del mare (Imo) del 2004, che definiscono solo che cosa non è un “luogo sicuro”.
Non sono obbligatorie, si tratta di raccomandazioni e strumenti di ‘soft law‘
e stabiliscono che non si può sbarcare dove non sono garantiti alcuni diritti fondamentali, in particolare se a bordo ci sono persone che potrebbero beneficiare di tutele addizionali come, ad esempio, potenziali richiedenti asilo”.
È un dibattito ideologico, che non ha nulla a che fare con il diritto marittimo.
Il diritto marittimo è usato come una scusa, ma non esiste nessuna regola del diritto marittimo che consenta a una nave di non rispettare le regole della sua registrazione di bandiera, non esiste nessuna regola del diritto marittimo che consenta al comandante di disobbedire consapevolmente alle regole della bandiera battente la sua nave, non esiste una singola regola di diritto marittimo che consenta al Capitano di scegliere solo il porto che lui e solo lui decide sia “sicuro”, non esiste una singola regola di diritto marittimo che consenta al capitano di decidere che la Tunisia (nientemeno che la Tunisia con i suoi nove milioni di passeggeri delle crociere ogni anno!) non è “sicura” perché non offre “asilo” (che nulla ha a che fare con la “sicurezza”, ma con l’ideologia politica di ciascuno, che quindi non persegue la sicurezza ma i benefici politici)
Porto vicino
Più facile sarà capire che cos’è il “porto vicino” e dove si trova? Geograficamente sì. Giuridicamente proprio per nulla. Perché l’espressione “più vicino” (“closest” o “nearest”) non è contenuta in nessuna convenzione o trattato sul diritto internazionale del mare; o almeno non con riferimento allo sbarco dei naufraghi. Mentre appare decine di volte per parlare di collisioni fra navi, delimitazioni per definire un arcipelago o le acque territoriali, porti dove ormeggiare per riparare guasti che stanno causando danni ambientali e sversamenti in mare di sostanze tossiche o per definire la “più vicina rappresentanza diplomatica dello stato di bandiera”.
La minima deviazione possibile
La frase che usa invece la giurisprudenza internazionale sui naufragi è un’altra: “minimum further deviation”, cioè una “deviazione minima ulteriore” rispetto alla rotta originaria della nave che ha soccorso. Un accorgimento pensato per limitare i danni economici di mercantili e armatori e ridurre il lasso di tempo in cui un’imbarcazione inadeguata si trova a navigare sovraccarica di esseri umani.
Soccorso e sbarco
Quarto capitolo: quanto velocemente devono avvenire le operazioni di soccorso e, soprattutto, quelle di sbarco dei naufraghi? È stato questo in fondo il vero nodo cruciale dei casi Aquarius (scortata a Valencia dalla Guardia costiera nel giugno 2018) Diciotti (per giorni in attesa al porto di Catania), e i diversi casi Sea Watch, incluso l’ultimo, che ha visto la comandante Carola Rackete prendere la situazione di petto e forzare l’ingresso in porto. I testi internazionali, ancora una volta, offrono più punti interrogativi che certezze. La frase chiave è quel “non appena ragionevolmente praticabile” (“as soon as reasonably practicable”) messo nero su bianco nel terzo capitolo della Convenzione Sar del 1979, che ovviamente lascia aperto un oceano di interpretazioni.
Romano Pisciotti: Navigando il web