Non si è mai visto un ceto politico così ignorante. Laureati compresi. Colpa della scuola? O di una selezione al contrario? La democrazia rischia di non funzionare se conferisce responsabilità di comando a persone palesemente impreparate.
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Tra i più tenaci candidati a capo del governo ce n’è uno giovanissimo (31 anni appena compiuti), facondo, con cipiglio, determinato e ubiquo, ma non ugualmente solido in quel che un tempo si chiamava “bagaglio culturale”. Dalla sua bocca escono senza freno riferimenti storici e geografici sballati, congiuntivi strampalati, marchiani errori di fatto, slogan e progetti cervellotici (recentissimi l’Italia come smart nation e la citazione dell’inefficiente governo Rajoy come suo modello), anche quando si muove in quella che dovrebb’essere la sua specialità, cioè quel mix indistinto di nozioni e fatterelli politico-storico-economici che forma la cultura del politico di fila. Inoltre, Luigi Di Maio (è di lui che parlo) non è laureato. Si è avvicinato al fatale diploma, ma per qualche motivo non lo ha raggiunto. Nulla di male, intendiamoci: pare che in quel mondo la laurea non sia più necessaria, neanche per le cariche importanti.
Un altro guaio, più serio, sta nel fatto che il ceto politico attuale, e ancor più (si suppone) quello che gli subentrerà al prossimo turno, ha un record unico nella storia d’Italia, di quelli che fanno venire i brividi: i suoi componenti, avendo un’età media di 45,8 anni (nati dunque attorno al 1970), sono il primo campione in grandezza naturale di una fase speciale della nostra scuola, che solo ora comincia a mostrare davvero di cosa è capace. Perché dico che la scuola che hanno frequentato è speciale? Perché è quella in cui, per la prima volta, hanno convissuto due generazioni di persone preparate male o per niente: da una parte, gli insegnanti nati attorno al 1950, formati nella scassatissima scuola post-1968; dall’altra, quella degli alunni a cui dagli anni Ottanta i device digitali prima e poi gli smartphone hanno cotto il cervello sin dall’infanzia.
I primi sono cresciuti in una scuola costruita attorno al cadavere dell’autorità (culturale e di ogni altro tipo) e della disciplina e all’insofferenza verso gli studi seri e al fastidio verso il passato; i secondi sono nati in un mondo in cui lo studio e la cultura in genere (vocabolario italiano incluso) contano meno di un viaggio a Santorini o di una notte in discoteca.
Prodotta da una scuola come questa, era forse inevitabile che la classe politica che governa oggi il paese fosse non solo una delle più ignoranti e incompetenti della storia della Repubblica, ma anche delle più sorde a temi come la preparazione specifica, la lungimiranza, la ricerca e il pensiero astratto, per non parlare della mentalità scientifica. La loro ignoranza è diventata ormai un tema da spot e da imitazioni alla Crozza.
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Presented by Romano Pisciotti