Countries without words (English and Italian version)

A country that does not know the words of the mother tongue will not have peace: good leaders, jobs and growth will be lacking. If ignorance wins, poverty wins.

Rich and technologically advanced countries are losing the beauty of dialogue and writing: the world of work seeks dumb workers and increasingly specialized engineers like horses with blinders; the school is a pool of students who study less and less … and words are lost! Developing countries are moving fast towards industrial and financial goals, while the study of history, art and grammar seems to have become an option.

The thesis of many, silenced by most, highlights the impoverishment of the world’s cultural baggage, followed by the decrease in intelligence. We are listening to great speeches, increasingly devoid of content, but with flirtatious objectives created to attract the consent of the masses: more than on the importance of words, the focus is on the ease and repetitiveness of the same as in an advertisement.

The students press the keys of the cell phone, which suggests the words; slowly the logic of the expression will be guided by smartphones; we will soon confuse every expression of thought with pre-installed catalogs and dictionaries. Quick acronyms will replace the words, tone and colors of the dialogue, slowly extinguishing human consciousness and intelligence.

A cave language will unite peoples: men will be equal, globalized and… slaves!

Un Paese che non conosce le parole della madrelingua non avrà pace: mancheranno buoni dirigenti, lavoro e crescita. Se vince l’ignoranza, vince la povertà. Paesi ricchi e tecnologicamente avanzati stanno perdendo la bellezza del dialogo e della scrittura: il mondo del lavoro cerca operai muti e ingegneri sempre più specializzati come cavalli con i paraocchi; la scuola è un bacino di studenti che studiano sempre meno… e le parole si perdono! I paesi in via di sviluppo si stanno muovendo velocemente verso obiettivi industriali e finanziari, mentre lo studio della storia, dell’arte e della grammatica sembra essere diventato un’opzione. La tesi di molti, messa a tacere dai più, mette in luce l’impoverimento del bagaglio culturale mondiale, seguito dalla diminuzione dell’intelligenza. Stiamo ascoltando grandi discorsi, sempre più privi di contenuti, ma con obiettivi civettuoli creati per attirare il consenso delle masse: più che sull’importanza delle parole, l’attenzione è posta sulla facilità e ripetitività delle stesse come in uno spot pubblicitario. Gli studenti premono i tasti del cellulare, che suggerisce le parole; piano piano la logica dell’espressione sarà guidata dagli smartphone; confonderemo presto ogni espressione di pensiero con cataloghi e dizionari preinstallati. Acronimi veloci sostituiranno le parole, il tono e i colori del dialogo, spegnendo lentamente la coscienza e l’intelligenza umana. Una lingua cavernicola unirà i popoli: gli uomini saranno uguali, globalizzati e… schiavi!

by Romano Pisciotti

Il populismo penale che non molla l’Italia, visto da un lettino in psicoanalisi

Saverio Francesco Borrelli giustizia romano pisciotti manager italia schiaffo alla giustizia
Saverio Francesco Borrelli

 

Non so se gli psicoanalisti applichino ancora il metodo junghiano delle parole-stimolo a cui il paziente deve associare la prima cosa che gli passa per la testa, ma ogni volta che sento la formula “populismo penale” – e grazie al cielo accade un po’ più spesso di prima – subito affiorano due ricordi, entrambi legati a Francesco Saverio Borrelli. Il primo è un piccolo ma spettacolare rovesciamento di frittata che il procuratore capo amava fare a metà degli anni Novanta in risposta alle accuse di giustizialismo. I nostri nemici non sanno neppure usare le parole, diceva pressappoco Borrelli, perché il justicialismo era l’ideologia di Perón, dunque è sinonimo di populismo, dunque il vero giustizialista (lui non faceva il nome) è Berlusconi. Il secondo ricordo, che ha tuttora il potere di guastarmi il sonno, è una frase sibillina pronunciata nei giorni trionfali di Mani Pulite: “Quando la gente ci applaude, applaude se stessa”. Quasi un calco della formula di Durkheim secondo cui la religione è la società che adora se stessa. Se ne poteva dedurre che Borrelli attribuiva al pool una funzione sacra o totemica, di canalizzazione di energie collettive: invece di Manitù, Manipù. I due ricordi avranno senz’altro un legame segreto nei meandri della mia nevrosi garantista, ma ne hanno anche uno manifesto, ed è questo: il populismo penale, l’uso improprio di strumenti giudiziari per ricercare il consenso, è tanto più infido in quanto è acefalo o policefalo. A differenza dei populismi radunati attorno a un capo, può assumere molti volti più o meno effimeri, incarnarsi secondo le occasioni in un pm giustiziere, in un politico gracchiante, in un giornale di secondini, in una vittima esemplare che chiede riparazione esemplare, o può anche mimetizzarsi nelle sembianze anonime di una moral majority. Insomma, è un mostro proteiforme politico-giudiziario – e poi dice che uno non dorme la notte.
Romano Pisciotti : da “ Il Foglio”

il navigante romano pisciotti
il navigante